Diritto all'oblio e diffamazione online: i 3 errori da non fare
Domenica 08 Ottobre 2017
autore: Avv. Rocco Gianluca Massa
Sebbene di diritto all'oblio e di
diffamazione online si parli
quotidianamente, rimettendo il buon
esito di un percorso (giudiziario e non)
di salvaguardia dei propri dati in Rete
a fattori e circostanze di natura il
più delle volte oggettiva,
è anche vero che una buona parte
della casistica è da sempre,
inevitabilmente, caratterizzata da una
componente iniziale di improvvisazione e
tentata autotutela da parte del soggetto
coinvolto. Tutto ciò, sia ben
chiaro, comprensibilmente: è
naturale infatti, che il ritrovarsi
d'improvviso dinanzi a risultanze
diffamatorie o ad un uso non lecito dei
propri dati, porti chiunque, di primo
acchito, ad attivarsi in prima
persona per una rimozione immediata di
links e
contenuti.
Purtroppo
però, una tale estemporanea
reattività può
paradossalmente compromettere
l'efficacia di ogni successivo da farsi
-svolto o meno con l'ausilio di un
avvocato- fino a rendere, in alcuni
casi, seriamente
compromessa la situazione nel
lungo termine.
Certo, di errori
se ne possono fare tanti, tantissimi, in
presenza di contenuti da rimuovere,
soprattutto se chi agisce per la
rimozione del contenuto
in questione (articolo,
immagine, video, nominativo o
altro che sia), muove in preda
all'istinto, all'ansia da rimozione
immediata, o peggio
all'inesperienza. Volendo entrare nel
dettaglio, pertanto, e non è
esagerazione dirlo, si potrebbero
dedicare interi volumi all'argomento,
ma, per ovvie ragioni, mi
limiterò in questa sede a fornire
un brevissima lista, un ABC di
errori basilari, in cui sovente cade chi
cerca di tutelare su Internet dati e
reputazione propri o di un
cliente. Quanto segue,
infatti, vale per i diretti interessati,
ma anche per chi li assiste legalmente e
magari non ha ancora una piena contezza
delle dinamiche della
Rete.
ERRORE N.1:
MANCATA O ERRONEA VALUTAZIONE DELLE
RISULTANZE EFFETTIVE.
Se
è vero che un soggetto possa
ritenere di fondamentale importanza -per
la propria reputazione-
la rimozione del link
(o meglio dell'URL)
associato ad uno specifico contenuto,
è di altrettanta fondamentale
importanza comprendere anche come
è strutturato e posizionato il
medesimo contenuto tra le risultanze
presenti in Rete, se è l'unico
realmente raggiungibile (e lesivo) per
l'interessato e in base a quali
specifiche parole o argomenti compare in
dati contesti, come i comuni motori di
ricerca. Nell'erronea convinzione di
averlo circoscritto, diversamente,
il contenuto in questione
può essere stato già
ripreso da altri siti e motori che
magari non godono di elevati fattori di
posizionamento (PageRank in
primis) sul motore di riferimento
principale, ossia Google, rimanendo
apparentemente fuori dalle prime SERP e
risalendo a lungo termine per fattori
esterni.
Altrettanto erronea
può risultare anche la
collocazione del contenuto
pregiudizievole: spesso si guarda ai
contesti "derivati" di pubblicazione,
quali, ad esempio, i social, i blog o i
forum, senza guardare a quelli realmente
indicizzati e maggiormente lesivi in cui
era stato originariamente inserito il
medesimo contenuto. Una
circostanza che può tradursi in
un danno irreparabile nel lungo
termine: si pensi, ad esempio,
ai video a sfondo sessuale
diffusi senza il consenso dei soggetti
ripresi. Filmati che, se non
fermati subito nella diffusione, col
passare delle ore diventano sempre
più virali, finendo con l'essere
riproposti o linkati da un numero sempre
maggiore di forum, blog, pagine social,
siti e sitarelli, e l'inevitabile
conseguenza di rendere seriamente
difficile -se non impossibile- accertare
il contesto in cui il singolo video ha
avuto il suo primo "upload" in
Rete.
ERRORE N. 2:
MANCATA O ERRONEA IDENTIFICAZIONE
DELL'ESATTA STRINGA CHE COMPONE
L'URL.
Altra circostanza
da considerare in prima battuta, ad
esempio, è quella concernente
la stessa composizione dell'URL
incriminato ai fini della
agognata rimozione. Emblematico è
il caso in cui un medesimo contenuto
provenga da una stessa fonte
(sito, forum, social,
ecc.) ma sia associato a URL e quindi a
links diversi. Tale circostanza si
verifica principalmente a seguito di
modifiche a livello software (patch,
aggiornamenti o anche accessi abusivi)
che intervengono nel tempo e coinvolgono
il codice sorgente delle pagine Web o le
regole di "rewriting" degli URL da parte
del server, così da creare, per
lo più involontariamente,
duplicati degli indirizzi originari, che
periodicamente ricompaiono in
Rete. Con l'ovvia conseguenza che due
o più indirizzi potranno apparire
identici, rinviare ad un medesimo
contenuto di uno stesso sito, ma
essere di fatto associati a links
distinti in un motore di
ricerca. Per fare un
esempio, supponiamo di aver ottenuto la
rimozione di un contenuto da un motore
di ricerca. L'URL oggetto di intervento
si presentava nella
forma:
http://www.sit
oxxxxxxx.it/dir/filesxxx/19-hotvideo.htm
l
stranamente, dopo
qualche tempo, vediamo ricomparire lo
stesso contenuto sul medesimo motore di
ricerca, apparentemente identico a
quello già rimosso, ma nella
forma molto
simile:
http://www.si
toxxxxxxx.it/dir/filesxxx/19-hotvideo--.
html
Entrambi i
links puntano alla stessa pagina ma
vengono percepiti da un motore di
ricerca come contenuti distinti. Questo
perché quel che realmente cambia
è la stringa che compone l'intero
URL: difatti l'indirizzo associato al
link n.2 si differenzia dal primo, come
si può notare da una più
attenta disamina, per 2 soli caratteri
apparentemente insignificanti, ossia
quei due trattini "--" posti prima
dell'estensione ".html". Un'aggiunta
neanche percepibile alla vista
senza la dovuta attenzione, ma dagli
effetti sicuramente frustranti se non
deflagranti, ove posti in
relazione a possibili iter giudiziari
che l'interessato ha dovuto
intraprendere per ottenere la rimozione
del link n.1.
ERRORE
N. 3: MANCATA O ERRONEA INDIVIDUAZIONE
DELLA FONTE, DEI SERVER E DELL'ISP
COINVOLTO.
Non da meno
è sempre bene procedere in
modalità chirurgica nella
individuazione della fonte della pagina
o del contenuto da voler rimuovere,
comprendendo con ciò
anche la disamina dell'ISP di
turno, del luogo in cui sono ubicati i
servers e della giurisdizione
coinvolta. Si è
infatti già accennato
all'importanza di poter focalizzare con
esattezza il contesto (blog, sito,
forum, ecc.), ossia la fonte, in cui
stato inserito originariamente il
contenuto pregiudizievole. Analogamente
è bene prestare attenzione alla
genuinità del trinomio
"link-URL-fonte", non mancando
casi in cui, un dato contenuto
indicizzato tra le SERP di un motore di
ricerca, conduca, ingannevolamente, ad
una pagina di destinazione (fonte)
diversa da quella voluta o visualizzata
nelle medesime SERP: si pensi all'uso di
redirect, iframe, javascript, ma anche a
ipotesi di DNS cache poisoning,
ecc.
Di non minore importanza
è poi la "geolocalizzazione" dei
server e dell'ISP coinvolto. Un aspetto
che assume un ruolo determinante in
quelle ipotesi particolarmente
"pericolose" di diffamazione: mi
riferisco, nella specie, a quei casi di
diffamazione premeditata e
continuata con estremo
accanimento, in cui la matrice
è di natura fortemente emotiva
(se non ossessiva) o economica, e gli
autori -il più delle volte
concordando strategie con l'ausilio nel
"dark web"- agiscono col solo fine di
marchiare a vita o distruggere
letteralmente la reputazione di un
soggetto, privato o commerciale che sia.
Dinamiche di fonte alle quali -spiace
doverlo ammettere- l'attività
degli inquirenti incontra dei seri
limiti operativi e un qualsiasi percorso
di tutela legale, civile o penale,
nazionale o internazionale, diventa
inutile. Complici di ciò, da
un lato la struttura e le
caratteristiche tecniche passate e
presenti di Internet, dall'altro
l'ubicazione dei server (nei quali sono
conservati i database e le informazioni
incriminate) in Stati di fatto
"garantisti" per chi persegue
finalità illecite. Paesi
sottratti a convenzioni internazionali e
al facile espletamente di rogatorie
internazionali, civili e
penali. In questi casi, a
onor del vero, esistono comunque delle
esigue chances di successo per
la rimozione del contenuto lesivo, ma il
modus operandi è di
diversa natura e muove su un binario
totalmente strategico,
informatico e
stragiudiziale.
Alla
luce di quanto descritto, è
facile comprendere come spesso vengano
intrapresi, anche dagli addetti ai
lavori, percorsi di tutela
giurisdizionale o amministrativa
(Garante della Privacy su tutti) in
realtà errati o precari,
confondendo già in
partenza il concetto di diritto
all'oblio con quello di diffamazione su
Internet, di rimozione con quello di
oscuramento di un contenuto.
Con la facile illusione che, la
soppressione di un dato URL da motori di
ricerca, social networks o altri
contesti popolari, segni la fine di ogni
problema e l'inizio di una "nuova
reputazione" per l'interessato. Quando
in realtà, altro non è che
la vittoria di una sola battaglia, in
una guerra iniziata nel modo
sbagliato.
Avv. Rocco
Gianluca Massa
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